Scrittore,saggista,commediografo, diarista, sceneggiatore cinematografico ( Pachino [Siracusa] 1907- Torino 1954 ). Visse la sua giovinezza biografica e intellettuale nella Catania degli anni Venti, in una città ricca di umori culturali che
si aggregavano intorno alle figure di Giuseppe Villaroel e di Francesco Guglielmino: il primo, animatore del vivaio letterario del Giornale dell'isola; il secondo grecista e autore di versi raffinati, vero maestro di buon gusto e classica misura, per Brancati.
Gli esordi dello scrittore avvennero però sotto il segno del dannunzianesimo
( ed ecco le sue poesie e il poema frammatico impregnato di una visione decadente della vita come opera d'arte, Fedor, del 1928) e del vitalismo
( che gli dettò il mito in un atto Everest, 1931). Questo sostrato culturale,
insieme con la sua ansia di sprovincializzazione che lo spingeva ad aderire ai
temi antiborghesi e <<rivoluzionari>> della propaganda del regime spiegano
la presa di posizione favorevole del giovane scrittore nei confronti del fascismo, che da parte sua lo accolse nel suo seno come intellettuale allineato.
Così Brancati potè collaborare ai più qualificati giornali e alle più prestigiose riviste: Tevere di Telesio Interlandi, Il popolo di Sicilia quotidiano catanese
del PNF, Pegaso di Ojetti, mentre cresceva in lui l'ammirazione per Mussolini, direttamente chiamato in scena nel dramma Piave, 1932 ( ambientato nell'Italia della disfatta di Caporetto), e simbolicamente rappresentato nel primo romanzo brancatiano, L'amico del Vincitore ( pubblicato nel 1932.
Quest'opera, pur nella sua ingenuità stilistica e contenutistica, rivela quale sarà
la più genuina vena del narratore: una sostanza autobiografica in cui si sciolgono
i nodi esistenziali e ideologici, che sempre fermenteranno nel fondo delle sue pagine. L'idillio fra Brancati e il fascismo fu breve: Singolare avventura di viaggio (1934) segnò il dissidio dello scrittore dal regime; il romanzo fu sequestrato per <<immoralità>> dalla censura e Brancati iniziò quella revisione politoco-ideologica che lo avrebbe visto operare scelte coraggiose:
il rientro in Sicilia dalla capitale, per esempio; e poi la rinuncia alla collaborazione col settimanale letterario Quadrivio; e poi ancora il disimpegno
e il rifiuto dei miti che avevano nutrito la sua giovinezza ( primo fra tutti il vitalismo, <<una deliziosa morale- confesserà più tardi in una nota del suo Diario romano, - il cui bene era " agire " e il male " dubitare"<<). A queste ubriacature di <<stupidità>>, Brancati contrappone d'ora innanzi l'esercizio della ragione, dell'ironia, del buon senso, la nostalgia del <<buon tempo antico>>, dell'integrità etica, i valori dell'Ottocento ( il gran secolo dei suoi <<padri>> letterari: De Roberto, Flaubert, Gogol).
Di fronte alla corrotta Roma, sede ufficiale dell'odiato regime, acquistò
valenza morale la sua Isola, la provincia incontaminata dagli idoli del modernismo, dove l'arricchimento culturale non nasceva dalle mode effimere dei salotti
(nel '38, a chi gli chiedeva che cosa facesse a Caltanissetta, cittadina nel cui istituto magistrale insegnava Italiano e Storia, rispondeva: <<Leggo Croce>>; dove la dimensione umana non era smarrita ed era possibile godere della vicinanza dei vecchi amici del liceo Spedalieri, dei compagni di tante burle,
dei sodali delle prime esperienze letterarie e delle prime avventure d'amore:
Pippo Ardizzoni, con cui aveva fondato la rivistina Ebe, Mimì Rapisardi,
Raffaele Leone, <<il piccolo architetto nero>> che non riusciva mai a terminare una frase perchè altre la soverchiavano e vi si aggiungevano, come i cerchi d'acqua d'un sasso nello stagno. <<Laggiù, nello splendito Mezzogiorno - ricorda Brancati nei Piaceri,- sono stato fortunato nelle mie amicizie>>. La provincia sarebbe stato il terreno di coltura delle sue analisi ironiche della società e del costume, a partire dal romanzo ambientato a Natàca. Gli anni perduti ( elaborato nel 1934 ).
Nel '41 Brancati tornò a Roma, diede alle stampe Gli anni perduti, scrisse
alcuni dei suoi racconti più belli ( Rumori, Il bacio), pubblicò il primo romanzo della trilogia del gallismo, Don Giovanni in Sicilia. Periodo dunque di felicità creativa e di chiarezza e non compromissione ideologica: Brancati frequentava infatti in questi mesi il romano caffè Aragno, punto di incontro degli artisti e
degli intellettuali antifascisti ed esprimeva il dissenso dal regime nei modi arguti
e allegorici della satira.
Dal '43 al '45 fu di nuovo a Catania, a insegnare al magistrale femminile, e,
finita la guerra, nel '46 sposò Anna Proclemer. Ormai era scrittore affermato
e collaboratore de L'Europeo, del Tempo, del Corriere della sera; animava i circoli letterari romani;era grande amico di Sandro De Feo, di Flaiano, di Moravia del conterraneo <<Ercolino>> Patti, dei radicali operandi nel Mondo
di Benedetti e Pannunzio. Ma la disillusione del dopoguerra, la consapevolezza di non poter partecipare, in quanto intellettuale, alla rifondazione della società italiana sulle basi dell'anticonformismo e della lezione liberale crociana, ne inasprisce il pessimismo.
La recente pubblicazione di un breve romanzo ambientato a Nissa e di numerose disperse riviste, raccoti sotto il titolo di Sogno di un valzer (1981),accredita la definizione di un Brancati scrittore di costume, che opera al di sopra delle mode, volto alla pittura di ambienti sociali da rappresentare con una vis comica in cui agisce una forte componente di drammaticità.
Se nel Don Giovanni in Sicilia la sua analisi dell'erotismo era infarcita di toni
ilari e amabilmente ironici, nei protagonisti del Bell'Antonio (1949), della sua più famosa commedia, La governante (1952), del romanzo postumo Paolo il caldo
( pubblicato nel 1955 ), il conflitto tra sensi e ragione assumeva i toni tragici dell'impotenza d'amore, della devianza sessuale, dell'eccesso della lussuria.
Antonio, Caterina, Paolo, sono segni e testimonianze della capacità brancatiana di superare il bozzettismo strapaesano per affinarsi fino a percepire << i traumi della coscienza contemporanea>>.
Enc. di Ct Tringale Editore 1987 |
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