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Leggende |
Il clima della Sicilia
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Sicilia arcaica. |
Il racconto mitologico afferma che un giorno di primavera il Dio Plutone, re
del mondo sotterraneo e fratello di Giove, sbucò in Sicilia dal lago di Pergusa;
e rimase colpito dalla visione che apparve ai suoi occhi: in mezzo ai prati, la giovane Proserpina, assieme alle ninfe che la accompagnavano, raccoglieva
fiori variopinti e profumati.
Vederla, innamorarsene e rapirla, fu tutt’uno per Plutone; e se la portò giù agli inferi. Il ratto fu cosi subitaneo, che nessuno seppe dare indicazioni alla madre Cerere, che per tre giorni e tre notti ricercò Proserpina, per tutta la terra, facendosi luce di notte con un pino da lei divelto e acceso nel cratere dell’Etna.
Alla fine dei tre giorni d’inutili ricerche, Cerere si adirò e cominciò a far soffrire
gli uomini, provocando siccità, carestie e pestilenze.
Gli uomini allora si rivolsero a Giove, supplicandolo di trovare una soluzione;
e Giove risolse il problema, decidendo che Proserpina stesse per otto mesi,
da gennaio ad agosto, sulla terra assieme alla madre; e per quattro mesi
da settembre a dicembre, sotto terra col marito Plutone, determinando
così l’alternanza di due sole stagioni nel clima della Sicilia. |
L'elefante di Catania
( U Liotru ) |
Elefante. |
Ad una leggenda antichissima e’ riportata
l’origine dell’elefante di Catania, che
dal 1239 e’
il simbolo ufficiale della citta’ etnea.
Questa leggenda ricollegandosi al fatto storico che la Sicilia,
nel paleolitico superiore, possedeva tra la sua fauna originaria
anche l’elefante nano, racconta
che quando Catania fu per
la prima volta abitata, tutti gli animali feroci e nocivi furono
messi in fuga da un benigno elefante, al quale i catanesi, in segno
di gratitudine, eressero una statua, da essi chiamata col nome di
Liotru che e’ una corruzione dialettale di Eliodoro, un dotto
catanese dell’VIII secolo che fu fatto bruciare vivo nel 778
dal vescovo di Catania San Leone II il Taumaturgo, perche’
Eliodoro, non essendo riuscito a diventare vescovo della citta’,
disturbava le funzioni sacre con varie magie, tra cui quella di
far camminare l’elefante di pietra.
Numerose ipotesi sono state fatte dagli studiosi per spiegare l’origine
ed il significato della singolare statua di pietra.
Quella piu’ attendibile e’ l’ipotesi espressa
nel secolo XII dal geografo arabo
Idrisi, che nel 1145-1154 descrisse
la Sicilia per ordine del re normanno
Ruggero II.
Secondo Idrisi l’elefante di Catania e’ una statua magica, cioe’ un vero e proprio talismano, costruito in eta’bizantina
in pietra lavica,proprio per tenere lontano dalla citta’ le
offese dell’Etna.
Enc. di Ct Tringale Editore 1987
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I giganti Ursini
e il paladino Uzeta
Il piu’ insigne monumento
medievale di Catania e’ il poderoso castello Ursino,
fatto
costruire dall’imperatore Federico II di Svevia dal 1239 al
1250, nello
stesso luogo dove sorgeva un castello che dominava il
porto ed il golfo di
Catania, che latinamente si denominava castrum
sinus cioe’<<castello del golfo>>, da cui per
corruzione si ebbe<<castello Ursino>>.
Per spiegare la denominazione di <<Ursino>>, la fantasia
popolare ha immaginato l’esistenza di giganti saraceni, chiamati
appunto (e non si sa perche’) Ursini,
che il conte normanno
Ruggero avrebbe sconfitto nell’XI secolo, impadronendosi del
loro castello sulla spiaggia di Catania.
Questa leggenda non ha alcun fondamento storico; come anche l’altra
relativa sempre ai giganti Ursini che vengono sconfitti e uccisi
dal paladino Uzeta
( che storicamente, nonostante la somiglianza
del nome non ha nulla da spartire
con il vicere’ spagnolo
Uzeda, che nel 1693 volle la ricostruzione di Catania,
e a cui e’
dedicata una porta della citta’).
La leggenda di Uzeta, paladino dalla nera armatura rossocrociata,
sebbene sia
stato eternato nel bronzo di uno degli artistici candelabri
di piazza Universita’, e’ parto della fantasia di un
giornalista catanese dei primi del novecento, Giuseppe Malfa, che
lo immagino’ figlio di povera gente, divenuto cavaliere per
il suo valore; e come in tutte le favole belle, egli uccide i suoi
nemici, tra cui i giganti Ursini, e finisce per sposare la figlia
del re.
Anche nell’opera dei pupi catanesi e’ presente il paladino Uzeta.
Enc. di Ct Tringale Editore 1987
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La
patetica storia di Gammazita
Alla <<mala signoria>> degli Angioini di Sicilia (1270-1282)
e’ da riferire la patetica storia della giovinetta catanesedi
cui la leggenda ci tramanda lo strano nome, Gammazita, evidentemente
derivato dalle due lettere dell’alfabeto greco, gamma e zeta,
alle quali finora non si e’ saputo trovare una soddisfacente
spiegazione.
Il racconto popolare dice che la giovinetta preferi’ gettarsi
in un pozzo (pozzo di Gammazita) forse nel cortile dei Vela, verso
il 1280, anziche’ cedere alle voglie di un soldataccio francese
che la insidiava.
E’ evidente il collegamento con la realta’ storica,
non soltanto per il riferimento alle angherie compiute dai dominatori
francesi sugli oppressi siciliani,che provocarono quello splendido
episodio di ira popolare che fu il Vespro siciliano del 30 marzo
1282,ma anche il tentativo di spiegare come macchie di sangue di
Gammazita, i depositi ferruginosi lasciati da una sorgente minerale
che scaturiva a Catania tra le lave di via San Calogero e da tempo
disseccata.
Pozzo di Gammazita |
Pozzo di Gammazita |
Enc. di Ct Tringale Editore 1987
Il
terremoto del 1693
La
Catania del Seicento subi’parecchie dolorose sventure; tra
esse, particolarmente gravi furono l’eruzione lavica del 1669 e soprattutto il catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693,
che praticamente distrusse la citta’.
A questo spaventoso cataclisma sono
legate due leggende catanesi, quella di <<don Arcaloro >>,
e quella del vescovo Carafa.
La prima di queste due leggende narra
che nella mattinata del 10 gennaio 1693 si presento’ al palazzo
del barone catanese don Arcaloro Scammacca una nota e temibile fattucchiera
locale, e con la sua vociaccia gridò a don Arcaloro che si affacciasse
subito,perche’ gli doveva dire una cosa di somma urgenza e
di grandissima importanza: ne andava di mezzo la vita!
I servi non volevano lasciarla passare,
ma don Arcaloro, conoscendo il tipo, ordino’ che la facessero
salire.
La vecchia strega allora confido’
al barone che quella notte aveva sognato sant’Agata, la quale
supplicava il Signore di salvare la sua citta’ dal terremoto.
Ma il Signore aveva rifiutato di concedere
la grazia, a causa dei gravi peccati commessi dai catanesi; ed aggiunse
la tremenda profezia <<Don Arcaloru, don Arcaloru, dumani a vintin’ura, a Catania s’abballa senza sonu>>.
L’accorto barone capi’
subito quale <<ballo senza musica>> avrebbe ballato
Catania il giorno dopo; e dopo aver ricompensato lautamente la vecchia
fattucchiera, si rifugio in aperta campagna, dove attese l’ora
fatale : e puntualmente, all’ora indicata dalla strega, il terremoto si verifico’ con tutte le sue catastrofiche conseguenze.
La seconda leggenda relativa al terremoto
del 1693 e’ quella che riguarda il vescovo Francesco Carafa,
che resse la diocesi di Catania dal 1687 al 1692.
La leggenda dice che questo buon vescovo,
mediante le sue fervorose preghiere, era riuscito per ben due volte
a tenere lontano dalla sua amata citta’ il flagello del terremoto.
Ma nel 1692 egli mori’, e l’anno
appresso, venute meno le sue preghiere ,Catania rovino’.
Terremoto del 1693 |
Terremoto del 1693 |
Terremoto del 1693 |
Enc. di Ct Tringale Editore 1987
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Il cavallo del vescovo di Catania
Racconta questa leggenda che il crudele imperatore svevo Enrico
VI, che regno’ in Sicilia dal 1194 al 1197, impose in Sicilia
vescovi e dignitari a lui fedeli, e suoi degni rappresentanti anche
quanto a ferocia.
Uno di questi crudeli funzionari imperiali
era il vescovo di Catania, il quale una volta affido’ il suo
cavallo piu’ bello a uno scudiero e a due palafrenieri, per
portarlo a passeggio sulle balze dell’etna.
Il cavallo a un certo punto, si imbizzarrì,
e comincio a correre verso la cima del vulcano; soltanto lo scudiero
lo seguì, perche’ i due palafrenieri, stanchi della
corsa, preferirono ritornare a Catania .
Il crudele vescovo svevo li fece immediatamente
decapitare. Lo scudiero seguì il cavallo
del vescovo fin sulla vetta dell’Etna; ma, arrivato sull’orlo
del cratere centrale, il cavallo diede un balzo, e vi sparì dentro.
Il povero scudiero si mise a piangere,
non vedendo piu’ il suo bel cavallo, e pensando a quale sorte
lo aspettava se fosse tornato a mani vuote dal suo inesorabile signore;
quando improvvisamente vide accanto a se’ un vecchio, dalla
solenne barba bianca, che gli disse: <<Io so perche’
tu piangi; vieni con me, e ti mostrero’ dov’e’
il cavallo del vescovo di Catania>>.
E, rinfrancatolo e presolo per mano,
lo condusse per un passaggio misterioso, attraverso il fumo del
vulcano, dentro una sala meravigliosa, piena di cristalli e di lampadari
scintillanti, dove c’era un trono tutto d’oro, e sul
trono c’era re Artu’ (che secondo una leggenda inglese
vive ancora sull’Etna).
Il re gli disse che sapeva tutto di
lui e del crudele vescovo di Catania, e gli mostro’, in fondo
alla sala, il cavallo che egli cercava, ed aggiunse:<<Torna
dal tuo vescovo, e digli che sei stato alla corte di re Artu’;
e digli anche che la sua crudelta’ e la sua prepotenza, in
cui egli e’ degno rappresentante del suo imperatore Enrico
VI, hanno stancato persino la pazienza di Dio, che presto lo punirà
per mio mezzo; e digli infine che se vuole il cavallo, deve venire
a riprenderselo lui stesso, salendo a piedi fin qui ; ma se non
verra’ entro quattordici giorni, al quindicesimo giorno egli
morira’>>.
E detto questo lo congedo’, dopo
avergli regalato un ricco mantello e una borsa piena di denari.
Lo scudiero, improvvisamente, si ritrovo’
sull’orlo del cratere, e avrebbe veramente creduto di aver
sognato, se non avesse avuto il ricco mantello sulle spalle, e la
borsa piena di denari nelle mani.
Ritorno’ a Catania, ma il crudele vescovo non gli credette, anzi sostenne che lo scudiero
aveva venduto il cavallo, e che i doni di re Artu’ erano tutto
una menzogna; ma, colpito dall’accento di verita’ del
suo servo, non ordino’ di decapitarlo, come aveva fatto con
i palafrenieri, e lo fece imprigionare.
Per 14 giorni, lo faceva venire dinanzi
a se’ e lo interrogava, e lo scudiero raccontava sempre la
stessa storia di re Artu’; il vescovo non voleva umiliarsi
e riconoscere le sue colpe, e mandava sempre gente sull’Etna
a cercare il suo cavallo, e la gente non tornava piu’.
Così si ando’ avanti per 14 giorni;
all’alba del 15° giorno il vescovo, esasperato, si fece
venire davanti l’intrepido scudiero.<<Tu sei uno stregone>>
lo investì ,<<tu ti sei divertito a fare scomparire
non solo il mio cavallo, ma anche i miei cavalieri e le mie guardie.
E io ti daro’ ora il premio che
si conviene agli stregoni come te: non la forca o la decapitazione,
ma il rogo. Orsu’, guardie, prendetelo e bruciatelo vivo!>>.
Nel dir così si alzo in piedi,
ma strabuzzo’ gli occhi, diede una giravolta, e cadde morto
stecchito.
La profezia di re Artu’ si era
avverata, e il crudele vescovo aveva terminato per sempre di tormentare
i catanesi.
Ed anche sul feroce imperatore Enrico
VI di Svevia si abbatteva inesorabile la vendetta divina, perche’
moriva appena trentaduenne a Messina, il 25 settembre 1197, ed e’
sepolto nel duomo di Palermo, assieme alla consorte Costanza d’Altavilla
e al grande figlio Federico II di Svevia.
Enc. di Ct Tringale Editore 1987
Fiume di latte
Presso Catenanuova (En), in contrada Cuba, esiste ancora un’antica masseria,che nei tempi passati fungeva anche da albergo, e da stazione di posta, per chi si recasse a cavallo o in lettiga da Enna a Catania.
Una lapide, posta sotto il balcone, ricorda che in quella stazione di posta pernottarono un re e una regina nel 1714, e un grande poeta tedesco nel 1787, Wolfgang Goethe, col suo compagno di viaggio,il pittore Crisoforo Kneip.
Vale la pena di raccontare perché vi si sia fermata a pernottare una coppia regale nel 1714: ciò fu dovuto al marchingegno ideato dal cavaliere Ansaldi da Centùripe, che era il proprietario della masseria-albergo, e nutriva un grande desiderio di ossequiare personalmente il re Vittorio Amedeo II di Savoia, re di Sicilia dal 1713,che con la regina Anna d’Orlèanns si stava recando da Palermo a Messina, per tornare in Piemonte.
Quando il corteo reale stava per giungere alla sua masseria,il cavaliere Ansaldi diede ad i suoi dipendenti uno stranissimo ordine; quello di versare nel torrentello vicino, tutto il latte che avevano munto quel giorno.
Quando le avanguardie del re arrivarono al torrentello, si fermarono,perché non credevano ai loro occhi:davanti a loro c’era un fiume di latte! Esterrefatti ,corsero a comunicarne notizia al re, che,incredulo,volle assaggiare:e dovette riconoscere che i suoi cortigiani non avevano preso un abbaglio.
Si fece avanti allora il cavaliere Ansaldi; il quale spiegò loro che egli era ricorso a questo espediente, per avere l’onore di ossequiare personalmente i reali di Sicilia; e, poiché si era già fatta sera, li pregò di pernottare,con tutto il loro seguito, nella sua masseria; e l’invito fu gradito al re, che al momento della partenza nominò l’Ansaldi, inventore del fiume di latte, Capitano onorario delle Guardie reali.
Contrada Cuba. |
Sito Etnanatura: Fondaco Cuba
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